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PRESENTAZIONE DEI LAVORI TEATRALI

Prima dello spettacolo
In aggiunta ai lavori teatrali, di cui si riportano stralci dei testi in altra sezione, riportiamo parte delle presentazioni fatte in sala per illustrare i lavori allestiti negli altri anni.
IL SUICIDA
L’opera, composta nel 1928 dal russo Nikolaj Erdman, è stata definita “la più straordinaria delle satire fiorite dopo la Rivoluzione, negli anni Venti e Trenta”, e proprio per questo, in Unione Sovietica le è stato sistematicamente negato il permesso di rappresentazione.
La riduzione e l’adattamento che abbiamo realizzato noi, mirano però a decontestualizzare l’opera, ambientandola in una situazione diversa da quella del regime sovietico, più vicina a noi nel tempo, nello spazio e nelle problematiche.


Simone Pozzeca, disoccupato, rischia di diventare la vittima da immolare agli interessi meschini di un branco di opportunisti, un “morto ideologico”, un vessillo sbandierato in difesa di cause futili o di dubbia nobiltà. Il gioco finisce per rasentare il dramma e l’incubo si intreccia pericolosamente con la realtà, ma quando tutto è pronto e definito, l’uomo con le sue paure, le sue insicurezze e debolezze, trova l’energia per opporsi e ribellarsi.
Questa satira dalla comicità nera, giocata sul filo del grottesco e del paradosso, prende così i toni della protesta contro chi calpesta la dignità umana e, a dispetto del titolo luttuoso, si risolve in un inno alla vita, spesso tragica, apparentemente insostenibile, ma degna di essere vissuta, soprattutto se costruita con le proprie mani, con la propria testa e… vissuta a testa alta.
ORLANDINA
Il testo di "Orlandina", prodotto dagli alunni del laboratorio teatrale “I Cre-attori”, a.s. 1991 -’92 potrebbe essere definito una scanzonata rivisitazione in chiave moderna dell' "Orlando Furioso", a patto però di chiarire che l'opera dell' Ariosto altro non è stato che un pretesto, una pista seguita con grandissima libertà, uno schema da riempire di situazioni, problematiche e personaggi attuali.
Gli episodi più emblematici del poema sono stati opportunamente attualizzati: il "Castello di Atlante" - metafora della vita come continua ricerca, affannosa corsa dietro vane illusioni per conquistare il sospirato oggetto del desiderio - trova il suo equivalente moderno nel "Luna park di Atlante", dove sono in vendita i sogni dietro cui si perde l'umanità del 2000: la bellezza, la giovinezza, la forza, l'amore, la felicità, la velocità; miti che dimostreranno tutta la loro inconsistenza e pericolosità.
Nella stessa cornice sono state inserite, attraverso rapide notazioni, situazioni che trascrivono in chiave giocosa problematiche attuali: dalla mafia al racket, dalla droga alla delinquenza, dal razzismo alla disoccupazione.
Sulla luna, dove Astolfina si reca - o crede di recarsi - per recuperare il senno di Orlandina, viene invece collocato tutto quello che noi, uomini del 2000 abbiamo smarrito.
C’ERA UNA VOLTA
"C’era una volta" è un adattamento, una rielaborazione dell’omonimo film del 1967 di Francesco Rosi, a cura della prof.ssa Teresa Valente.
Il testo dell’opera cinematografica ha subito vari rimaneggiamenti: molte scene sono state eliminate per far posto ad altri quadri e personaggi, comunque in linea con lo spirito dell’opera di Rosi; e sono stati inseriti balletti e canzoni che rendessero, attraverso linguaggi diversi, le situazioni narrate nel film.
Un’ opera intitolata “C’era una volta” non può essere che una fiaba, anche se la vicenda non si colloca in un tempo indeterminato, ma nel ’600; lo spazio non resta vago e imprecisato come normalmente accade nelle fiabe: l’ambientazione è infatti quella del Regno di Napoli sottomesso alla dominazione spagnola.
"C’era una volta" è una fiaba d’amore e d’amicizia, di potere e sopraffazione, di povertà, di coraggio e di paura, di fede e superstizione, di fantasia e realtà.
I protagonisti, spesso antagonisti, agiscono e interagiscono guidati dalle loro filosofie di vita: “Io faccio sempre quello che voglio” dice il principe, ma la fiaba punta a verificare “se” e “quanto” ciò sia possibile.

Con il suo carattere fiero, coraggioso e tenace, con la sua grinta da capopopolo, Isabella, un’umile popolana, si oppone all’arroganza e alla sopraffazione: protesta contro chi calpesta la dignità umana ed esorta a reagire gli altri popolani, abituati come lei a dare “cento morsi ad un fagiolo”; costretti quanto lei a sfamarsi “con uno gnocco solo”, ma disposti, per paura, a prostrarsi ai piedi del principe, smarrendo così il senso della propria dignità di uomini.“E’ il carattere che ci fa il destino a noi” sostiene Isabella, e la fiaba… finisce per darle ragione.

BARBONILa commedia “Barboni”, composta nel 1996 dagli studenti del laboratorio teatrale “I cre-attori”, è ambientata in uno studio cinematografico dove il regista Antoine de la Pellicole è in procinto di iniziare le riprese di un musical.E’ in questo contesto che si collocano le vicende - tragiche nella sostanza, ma giocose e grottescamente comiche nel testo e nella sua messa in scena - di personaggi accomunati dal problema del lavoro: licenziamenti, disoccupazione, sfruttamento, assunzioni dietro raccomandazione, ambigua compiacenza alle richieste a sfondo sessuale o alla pretesa di tangenti.Il filo conduttore dell’opera è costituito dalla vicenda di quattro barboni che finiscono in uno studio cinematografico per cercare di recuperare una schedina vincente, rimasta nei poveri indumenti di uno di loro, venduti alla troupe cinematografica da un altro barbone.Costretti a travestirsi per non dare nell’occhio, devono stare al gioco quando vengono scambiati per altri personaggi.E’ questo un altro tema sviluppato nell’opera: il rapporto realtà-finzione, affidato non solo ai barboni, ma anche alla nonna di Maria Antonia che, smarrita nel mondo della celluloide, davanti a scene di violenza, sesso e intrighi - le uniche cose che piacciono al pubblico, come osserva il regista - prigioniera del suo tragico dilemma, continua a chiedersi: “Ma questi stanno a fare all’apposta?… Fanno davvero o è un altro cinematografo?”

BERTOLDO A CORTEL’opera di Massimo Dursi "Bertoldo a corte" è una rivisitazione delle vicende del Bertoldo cinquecentesco, che ripropone la figura del contadino astuto in una nuova chiave: non più villano corruttibile che, divenuto consigliere di corte e buffone del tiranno, muore di indigestione alla sua tavola; ma uomo coraggioso e coerente, che sceglie di morire di fame piuttosto che barattare con leccornie e lusso la propria dignità e libertà.E’ prigioniero a corte, ma non servo, e non cede al ricatto, perché, come sostiene: “il mestiere dell’uomo è vivere senza paura!”Nel nostro adattamento del testo di Dursi, sono state “tradotte” in un idioma “genericamente” meridionale le battute dei personaggi popolari; sono stati creati nuovi personaggi per dare maggiore dinamicità al lavoro, mentre numerosi dialoghi e interventi sono stati trasformati in canzoni.

PAGNOTTELLA
Il testo di questa commedia in due atti è stato creato nell’a.s. 2003-‘04, da 40 alunni della seconda e terza F, all’interno di un P.O.N. intitolato “L’espressione, la comunicazione, la rappresentazione: costruiamo il nostro teatro”.
L’opera affronta in chiave ironico-giocosa temi in realtà molto seri: il problema dei rapporti interpersonali all’interno della famiglia; il problema del lavoro; quello dell’alta tecnologia e dell’informatizzazione; ma, soprattutto, come suggerisce il sottotitolo, il tema del disagio, tipicamente adolescenziale, di convivere con un corpo che non corrisponde al modello proposto-imposto  dalla società.
Assunta, detta “Pagnottella” per via di quei “chili in più”, non è una “donna cannone” da circo equestre: non lo è nel copione, anche se tutti si divertono a sottolinearne la “mole”, né lo sarà sul palco, perché  il nostro obiettivo non è quello di rendere oggetto di riso un difetto fisico, ma, al contrario, quello di far riflettere su quanto possa essere doloroso vedersi emarginati, sentirsi scherniti  se il corpo non corrisponde perfettamente  ai canoni estetici imposti dalla società.
            La commedia mette in scena le situazioni che la nostra protagonista vive all’interno del suo nucleo familiare e nell’ambiente di lavoro: un ristorante dove è in atto un processo di ristrutturazione, con tutti i disagi che può comportare un’introduzione fanatica e sconsiderata della “tecnologia avanzata”.
            Per mettere in luce la distanza esistente tra la realtà di Assunta, frustante e lontana dalle aspettative; e aspirazioni,  desideri personali,  abbiamo introdotto nel testo alcuni sogni della protagonista: un sogno che costituisce il momento del “riscatto”; che riprende elementi del vissuto ma, combinandoli con esigenze e desideri più o meno irrealizzabili, ribalta situazioni e problemi; e un incubo in cui la realtà appare ancora più negativa e frustrante.

LE SBARRE DENTRO
            Il testo della commedia Le sbarre dentro è stato creato nell’a.s. 2004-’05 dagli alunni della III e IV F
            Protagonista del lavoro non é un singolo personaggio,  ma un'inte­ra piazza, con i suoi abitanti sempre in lite  fra loro, in un eterno scontro di rancori e piccoli egoismi, che non appaiono più tali se sono guardati con gli occhi di chi non ha niente!
            Tutto, nel lavoro, concorre a mettere in risalto i luoghi comuni, i cliché che accompagnano, come una condanna, certe categorie sociali: i meridionali sono tutti ignoranti e mafiosi; gli zingari sono ladri; chi ha avuto a che fare con la giustizia non può essere che un criminale!
            E questa piazza puòessere in fondo considerata una metafora  della nostra società, che lascia agli extra-comunitari lo spazio angusto di un cassonetto, e tratta gli anziani come oggetti ingombranti, offendendone la dignità.

ALIEN-AZIONE
La commedia Alien-azione è una rivisitazione e adattamento, a cura degli alunni della IVF a.s. 2005-‘06, di un testo prodotto nel ’95 dal laboratorio di scrittura teatrale “I cre-attori”.
L’opera, che potremmo definire una fiaba amara, ha come protagonisti  due alieni bloccati sulla terra da un guasto all’astronave, rifugiatisi in un appartamento disabitato dopo il suicidio del proprietario Gioacchino.
L’ oggetto reale della nostra riflessione è l’essere umano.
            La meschinità, l’opportunismo, l'avidità sono in stridente contrasto con i significati dell’ aggettivo “umano" - nel senso di altruista, pietoso, gentile -  e giocando sul paradosso, abbiamo attribuito queste qualità a creature che “umane” non sono.
            La vicenda si snoda attraverso una serie di quadri che ripropongono sempre la stessa situazione: variano i personaggi, ma resta costante la logica dei comportamenti: la propensione a sfruttare e strumentalizzare per conseguire un utile personale.
            La schiettezza e la bizzarra generosità  dei nostri  alieni,  capaci di stare insieme senza invadere, di aiutare senza insultare,  ha la funzione di evidenziare, per contrasto, come l’ipocrisia, la propensione all’inganno, il calcolo e l'interesse personale siano abiti mentali e comportamentali estremamente diffusi e da cui l’ uomo non sa e non vuole liberarsi.
            I poteri degli alieni nascono dal fatto che il pensiero diventa energia quando si pensa “al plurale”; ma la bontà a tutto tondo di queste creature consente anche di introdurre altre riflessioni, visto che non sempre ciò che è buono è anche… lecito e giusto!
            A disagio con le complicazioni del diritto, della morale e della religione, gli alieni affermano:   “Uomìni: complicati!”; ma un giudizio sicuramente più severo è affidato ad un'altra categoria di personaggi non “umani”: i gatti.
            Opportunisti e briganti come l’uomo, ma tali per indole e natura, non certo per scelta consapevole, i gatti  allargano l’orizzonte della riflessione alludendo nella canzone finale a comportamenti che, pur non essendo direttamente presenti nel testo, sono riconducibili sempre al tema di fondo dell’opportunismo, dello sfruttamento condotto per interessi personali.
            Facendosi portatori del punto di vista delle bestie, i gatti considerano l’uomo il predatore più bestiale e concludono: “Uomìni: no buoni!”.

CON QUALI OCCHI?
L’atto unico Con quali occhi? è stata ideato e scritto nell’ a.s. 2006-’07 dagli alunni della 1F del Liceo Scientifico “O. Tedone” di Ruvo di Puglia.
            L’opera presenta la vita quotidiana di due famiglie, differenti per stile di vita e comportamenti, roponendo vicende e situazioni che, in chiave ironico-giocosa, raccontano il rapporto genitori – figli.
            Genitori vecchio stampo, genitori “impiccioni”, genitori permissivi o “distratti”, genitori separati che si contendono l’affetto dei figli a colpi di regali e permessi; e dall’altra parte ragazzi inquieti,  adolescenti trasgressivi,  ansiosi di vivere scansando paletti e  divieti, con il loro bisogno di libertà e identità, con i loro disagi, i loro silenzi, la loro solitudine.
            Con quali occhi guardare le piccole e grandi cose  che fanno la vita; leggere gli slanci o le chiusure di chi ci vive accanto?
            Con occhi attenti, che sappiano cogliere la sostanza che è dietro l’apparenza; che arrivino a cogliere gli errori commessi, per poterli ammettere: questa è la risposta che il nostro testo propone.
            E in una vicenda in cui nessuno è immune da errori, lo sguardo più attento è paradossalmente quello degli adolescenti che concludono: “Voi sbagliate ad imporci le vostre scelte; noi sbagliamo a crederle sbagliate solo perché ce le imponete”.
IL PRATO ALTRUI
Il testo di questa commedia è stato creato nell’ a.s. 2007-‘08 da 50 alunni  della IF e 2F, all’interno di un P.O.N. intitolato “La scrittura creativa: costruiamo il nostro teatro”.
Il titolo della piece si rifà al noto detto “L’erba del vicino è sempre più verde”.
E’ infatti una tendenza abbastanza diffusa quella di ritenere che la condizione altrui sia migliore della propria; che gli altri non abbiano i problemi e le difficoltà che incontriamo noi: vorremmo essere al posto di quelli che ci sembrano più fortunati, o che essi fossero nei panni nostri. Ma ogni condizione ha i suoi problemi: cambia soltanto  il tipo di  disagio; il genere di difficoltà.
All’interno di questa problematica se ne inseriscono altre: questioni legate al mondo lavorativo – come il problema della sicurezza o quello delle molestie sul posto di lavoro; e problemi di tutt’altra natura, come la scelta della maternità e la questione dell’omosessualità.
Malgrado la portata delle problematiche affrontate, il testo è piacevole e divertente, perché sviluppa i temi in chiave ironico giocosa, muovendosi fra reale e surreale.
UGUALE… E’ DIVERSO!
Il testo di Uguale… è diverso! è stato ideato e steso dagli alunni della 2F e 3F dell’a.s. 2008-’09, all’interno di un P.O.N. intitolato “Scrivo il mio testo teatrale”.
L’opera sviluppa in chiave ironico-giocosa una doppia serie di problemi: da un lato  le devianze giovanili,  i condizionamenti di amicizie pericolose, le fragilità adolescenziali;  dall’altro l’importanza dell’istruzione e della cultura come strumenti di emancipazione, e il fascino della poesia.
A questo secondo tema in particolare si riferisce il titolo della nostra piece,  rimandando a quanto diceva don Milani: “E’ solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa di meno”.

Prestando un po’ l’orecchio, da una parte al Pigmalione di George Bernard Shaw, e dall’altra al Cirano di Bergerac di Rostand, è nato questo nostro testo che narra le traversie di un giovane pescivendolo meridionale e la sua ricerca di una via che lo conduca a riscattarsi dalla condizione di “diverso”, dall’emarginazione a cui  è condannato dalla sua stessa ignoranza.
SAN BLOBLE’
San Bloblè è una commedia ideata e stesa nell’a.s. 2008-‘09 da 50 alunni della III F e IVF, all’interno di un P.O.N. intitolato “Dal progetto al testo”.
            La commedia sviluppa in chiave ironico-giocosa una serie di problemi legati alla nostra società: il consumismo, l’edonismo, la diffusa illegalità, la spettacolarizzazione; la pubblicità ingannevole;  i danni ambientali generati dall’abusivismo edilizio e dallo smaltimento delle scorie di produzione; i rapporti fra generazioni.
            La vicenda è ambientata in un villaggio turistico, scelto come simbolo della società consumistica col formidabile strumento della pubblicità; emblema di uno stile di vita edonistico, che mira solo ai piaceri, al divertimento, alle soddisfazionimateriali, alla ricerca ossessiva della perfezione nell’aspetto fisico.
            Una piccola società in cui chi “ha potere” agisce senza scrupoli,  secondo la logica dell’interesse economico, con la prassi del favoritismo, truffando e mettendo a repentaglio la salute e la vita di chi è entrato a far parte della piccola comunità.
            Gli ospiti, a loro volta, sempre in lite, pronti a calpestarsi reciprocamente per spirito di competizione,  sono troppo  chiusi nei loro piccoli egoismi per accorgersi   di essere tutti vittime degli stessi squallidi interessi economici.
            La conclusione del lavoro ribalta però la situazione, in nome di una solidarietà indispensabile per la stessa sopravvivenza:  “Contro questi farabutti, ci dobbiamo unire, non litigare fra noi come polli per un chicco di grano, mentre qualcuno dà fuoco al granaio!”.
            Questa sfida viene accolta dagli ospiti che diventano “fratelli di villaggio”, capaci di sostenere anche chi prima era considerato un vicino scomodo, e si attivano tutti per salvare… una capra.
VILLA MORGANA
            La commedia composta dalla IVF dell.a.s. 2010-’11, sviluppa in chiave ironico-giocosa una serie di problemi legati alla nostra società: le difficoltà e i disagi prodotti dalla crisi economica, la disoccupazione, il problema della casa e il tema della legalità.
            Il titolo della pièce rimanda all’ambientazione della vicenda che si svolge in un’ antica dimora nobiliare, villa Morgana, dove trovano riparo in maniera abusiva personaggi in situazione di grave disagio economico.
            Il collegamento col personaggio mitologico della fata omonima,  rimandando alla sfera del sovrannaturale,  allude alle misteriose presenze che popolano la villa; ma il legame con il fenomeno ottico della “fata morgana”, con il suo carattere di miraggio, vuole suggerire anche altri aspetti della vicenda:  il sogno di risolvere il problema dell’abitazione si rivela una chimera; ma  soprattutto, l’apparenza inganna: le cose non stanno come sembra e la storia non finisce come ci si aspetterebbe.
UN FIOCCO COLOR PERVINCA
Un fiocco color pervinca è il testo teatrale ideato e steso nell’a.s. 2011-’12 dai 30 alunni della IF, coadiuvati da alcuni alunni di altre classi, all’interno di un P.O.N. intitolato “Produzione del testo”.
            L’opera in questione è una commedia drammatica e inquietante nella sostanza, ma ironico-giocosa nel tono e nella forma.
            Che cosa è accaduto all’ospedale civile? Fiocchi azzurri, fiocchi rosa e un fiocco… pervinca, un colore che prende il nome dal fiore omonimo, azzurro in alcune varietà della pianta, rosa in altre; indicato, da un’antica credenza, come rimedio per la fertilità.
            Il giallo verrà risolto da alcuni pazienti, ma in fondo non costituisce che un pretesto per mettere in scena i problemi, i guasti, l’inefficienza della sanità e, insieme, la questione della maternità, il desiderio e a volte l’impossibilità di avere un figlio.
KINAIYAHAN
            Kinaiyahan è una commedia ideata e stesa nell’a.s. 2012-’13 dagli alunni della IF e IIF, coadiuvati da alcuni alunni di altre classi, all’interno del P.O.N. “Produzione del testo”.
            La parola “Kinaiyahan”, che dà il titolo alla commedia, significa “natura” in Cebuano, lingua parlata nelle Filippine, uno dei paesi con il più alto livello di biodiversità, visto che il suo territorio ospita, fra l’altro, numerosissime specie vegetali e animali non presenti in nessun’altra parte del pianeta. Lo sconsiderato intervento umano ha però determinato anche lì un tasso di estinzione catastrofico.
            Nella nostra commedia, Kinaiyahan, il sacro animale,  è appunto un’allegoria della natura, che, per quanto rispettata e difesa, resta costantemente esposta agli attacchi della tecnologia, allegoricamente rappresentata dall’ “azzurro spirito - occhi ardenti”.
            Il testo, giocosamente surreale,  è un occasione per riflettere su quanto diceva Bacone: “Alla natura si comanda solo ubbidendole”, perché “tutto viene da Kinaiyahan e tutto a Kinaiyahan… torna!”

            Al tema della tecnologia che pervade la vita quotidiana, disabituandoci a svolgere operazioni faticose e manuali, si aggiungono altri temi, motivi, problemi, messi a fuoco da particolari situazioni o da riflessioni dei personaggi: il rispetto della legge, rappresentata dal grande sacerdote e dalla saggia Pascadozia; la funzione della famiglia; il ruolo degli anziani;  il valore dell’amicizia che spinge i protagonisti del nostro testo a sfidare i pericoli, pur di salvare i compagni, prigionieri in una strana avventura sospesa fra sogno e fantascienza.